VILLARICCA (NA) - Mai e poi mai avrei creduto un giorno di stare qui a scrivere di un artista quale modello imitato per l’essenzialità e il temperamento drammatico. E per questo uomo di grande carisma, di successo mondiale, grazie anche alla propria vocalità raffinata. Mai avrei creduto che un giorno potessi stare qui a intendere la cultura della tradizione canora napoletana, da me sempre considerata articolata, difficile da comprendere, adatta soltanto a persone di grande spessore artistico, capace di accostarsi alla storia dei primi secoli dell’era cristiana, ai contadini, pastori, pescatori, venditori ambulanti, pescivendoli e tutto quanto rappresenta l’umiltà di popolo. Si, la canzone napoletana è questo. E proprio questo sono andato a toccare con le proprie mani, grazie ad un artista che ho conosciuto per caso, quando mi accingevo a scrivere i primi articoli e non avevo fatto alcuna intervista. Sto parlando di Sergio Bruni, scomparso nel mese di giugno dell’anno 2003 il quale io avevo conosciuto negli anni ’80. Ricordo che andai a casa di corsa a raccontare a mammà e papà di esser stato con lui nella sua caravan, ero contentissimo e orgoglioso. Ma non riuscii a dire loro questa cosa, sapete perché?... I miei genitori erano intenti a guardare la televisione che in quel momento trasmetteva le immagini della stessa persona con la quale io un’ora prima avevo bevuto il liquore che mi aveva offerto. E papà mio, irritato: “Statte zitto nu poc... ma tu parli sempre?...Sta Sergio Bruni alla televisione, mo’ canta ‘Carmela’”. Comunque, i fatti andarono cosi: Sono con amici nei pressi del campo sportivo, quando ad un tratto noto un camper. La curiosità innata in me, che spesso in passato mi ha fatto sfiorare tanti guai, non tocchiamo questo tasto, mi incita ad allontanarmi dal gruppo per curiosare attorno a quel camper. Avvicinatomi alla macchina, una voce di un uomo, mi dice: “Guagliò che vuoi?...Stai morendo dalla voglia di sapere questa roulotte che ci sta fare qui, ti stavo già guardando prima dal finestrino...Va buono, entra pure, vedo che sei un giovanotto perbene, fammi compagnia, ci beviamo questo whisky”. Ed io: “Eeh, grazie... grazie assajie anche del giovanotto perbene”. Mi guardo attorno, osservo bene la persona che indossa pantaloni grigi e un maglioncino blu con il foulard al collo; resomi conto di chi fosse, sto per rivolgergli la parola, ma lui come un lampo: “Guagliò, sono proprio io, fra qualche ora abbiamo un concertino, qui, alle spalle del campo, dove è sistemato il palco”. Chiamo i miei amici, li presento e il maestro offre l’whisky anche a loro, domandandoci un po’ a tutti se fossimo fidanzati ed altre cose della vita di provincia. Poi gli rivolgo alcune domande sulla sua carriera. Un uomo eccezionale, uno che non se la tira per niente, manco fosse operaio carpentiere. Capisco subito che ha il cuore d’oro, ma è severo di moralità, un classico napoletano di vecchio stampo, uno con la “capa tosta” per non dire di principio sano. Non posso mai dimenticarmelo: si rivolge ad uno dei miei amici domandandogli se fosse sposato. Questi risponde: “Sono separato, però adesso vivo con la compagna”. E lui, l’anziano artista: “Vergognatevi...tu, tua moglie e la compagna”. Madonna mia...il brivido si trascina dai piedi fino ai capelli, rimaniamo come impietriti in un silenzio tombale, guardandoci l’uno con l’altro. Ma lui col riflesso pronto si scusa di essere stato così esplicito senza darci il tempo di controbattere. E dice: “Io sono all’ antica, per me il matrimonio è ‘nu sacramet serio. Guagliù capitemi’”. Ora, a distanza di vent’ anni e passa sto qui a scrivere di un uomo, un artista che se fosse vivo avrebbe 100 anni, mentre i numerosi giornalisti rivisitano i versi, le citazioni, i racconti della vita di Bruni, che si snodano sulle sue magistrali interpretazioni canore. Ed io fortunato sto a ricordare il sapore di quel liquore che mi offri nel suo caravan il Signor Guglielmo Chianese in arte Sergio Bruni cantautore, chitarrista e compositore di fama mondiale. EVVAIIIIII!!!!!
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