Durò sette giorni e si svolse giusto ottanta anni fa, dal 3 al 9 maggio 1938. Toccò tre città e, insieme a Firenze e Roma, Napoli fu una di esse. Nella città partenopea, Hitler arrivò nella notte fra il 4 e il 5 maggio dopo un'intensa giornata romana conclusasi con una cena di gala.
Accadde durante la visita di Hitler a Napoli il 5 maggio del 1938.
Certo, chi allora assistette a tutto ciò avrà sicuramente pensato che era tutto perfetto e calcolato ad arte; da una parte è certamente così, ma non mancarono i retroscena - che a me, sinceramente, fanno pensare più ad un film comico che ad una visita ufficiale.
Un esempio può essere il fatto che l'allora Pontefice Papa Pio XI si rifiutò di incontrare Hitler: fece chiudere i musei vaticani e spegnere le luci del Vaticano. Era un segno di protesta contro il regime nazista con cui non era in buoni rapporti: si lamentava la continua interferenza del nazismo nella vita dei cattolici e del suo carattere sempre più neopagano. Disse in seguito il Papa: "È tra le tristi cose questa: l'inalberare a Roma, il giorno della Santa Croce, l'insegna di un'altra croce che non è la croce di Cristo" - riferendosi alle croci uncinate che Mussolini fece esporre a Roma.
O che dire del Führer che rende omaggio al Milite Ignoto? Non dimentichiamoci che durante la Prima Guerra Mondiale l'Italia combatteva contro la Germania.
L'onnipresente Vittorio Emanuele III poi conferma il fatto che Mussolini non aveva assolutamente poteri assoluti in Italia così come Hitler li aveva in Germania. Nessuno avrebbe potuto "licenziare" il Führer, cosa che invece accadde al Duce il famoso 25 luglio del 1943.
Appunto divertente dal diario di Galeazzo Ciano durante la visita dei nazisti: "il Duce crede che Hitler si metta il rossetto sulle guance per nascondere il pallore".
Ma la storia di Napoli?
L'ironia di Napoli che sconfisse persino Hitler
Ecco un aneddoto sulla visita del Fuhrer in città nel 1938, episodio che la dice lunga sul sarcastico modo che Napoli ha di affrontare i suoi drammiirtù dei napoletani, innegabilmente, c'è l'ironia. Quella amara a volte, nata sulle difficoltà, sull'insofferenza alle oppressioni che hanno sempre colpito la città e la sua gente. Un articolo di Corrado Ocone, pubblicato sul Corriere della Sera, ha reso merito a questa dote.
La teoria di Ocone è questa: l'ironia di un popolo permette di evitare il sopravvento degli assolutismi. Per suffragare la propria tesi, l'autore racconta un aneddoto su Napoli, sulla naturale propensione dei suoi cittadini al sarcasmo.
“Il padre di un mio amico – spiega Ocone – raccontava che durante la visita di Hitler a Napoli nel 1938 un folto pubblico fu schierato lungo via Caracciolo, in attesa del suo passaggio su una macchina scoperta. Quando il Fuhrer passò in piedi nella macchina e tese il braccio nel saluto nazista, una voce dal pubblico non identificata ruppe il silenzio della cerimonia dicendo: Sta verenn’ si for’ chiove”.
Una battuta, in un momento drammatico, dall'enorme significato. “In quel momento suo padre capì che il totalitarismo non avrebbe mai potuto conquistare l’animo dei napoletani – continua infatti Ocone – E probabilmente proprio per quel senso innato dell’ironia, quella capacità di non prendersi troppo sul serio”. Una risata per esorcizzare i problemi della città, per vincere su eventi inaffrontabili nell'unico modo possibile.
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